mercoledì 28 gennaio 2009

Dunque...educatori o animatori?!!!?


Con il cammino di questo blog ho cercato di comprendere meglio quale fosse la differenza di queste due figure …l'animatore anima e promuove attività creative ... l'educatore invece formula e attiva progetti,cura lo sviluppo e il recuperodella capacità relazionali e d'interazioene.
Però entrambe le figure cercano di comprendere l’altro,formarlo e farlo crescere… entrabi hanno dunque queste finalità ma con stili diversi…l’uno giocando e l’altro educando
Queste figure si addumono delle responsabilità non idifferenti in quanto cercano appunto di istaurare una relazione con l'altro,che deve e vuole essere in qualunue caso "educativa"...
Siete daccordo?!

I campiscuola… serata finale e veglia alle stelle


Di solito trascorriamo la settimana del camposcuola in una casa famiglia e per ringraziare l’ospitalità e per averci sopportato ci dilettiamo in una serata completamente dedicata al divertimento
Durante la settimana vengono date delle prove ai ragazzi che dovranno sviluppare nel loro tempo libero come balletti (con canzoni già scelte da noi animatori) e recite (ad esempio “la bella addormentata nel bosco” rivisitata da noi animatori con qualche battuta ironica per poi lasciare spazio alla creatività dei ragazzi) …in parole povere sono liberi di fare ciò che vogliono seguendo però quelle poche indicazioni che gli diamo.
Finita questa serata ci si trova tutti in un posto isolato per vedere le stelle e riflettere sulla settimana passata… ai ragazzi viene dato un racconto per aiutare la riflessione …
Mi ricordo ancora la veglia alle stelle che hanno organizzato i miei animatori quando ero un animata… ci hanno dato un racconto intitolato “l’albero generoso”; alla fine di questo racconto c’era la solita riflessione/provocazione ma questa volta era più profonda perché la veglia alle stelle deve proprio essere un ringraziamento!... diceva così: “questa sera seduto su questo prato tranquillo,guardando le stelle,aiuta il tuo cuore a ringraziare…tutti gli “alberi” della tua vita…”.
Quando tutti hanno pensato e riflettuto si compone al centro del cerchio ,con un lumino, la croce simbolo della nostra fede e quando lo si stà per posre a terra si ringrazi per la settimana trascorsa insieme … assicuro che è un momento di crescita molto significativo. Provare per credere!!!!

martedì 27 gennaio 2009

...Peter Pan ci insegna che...


Affrontando il tema di "Peter Pan" ho capito che non bisogna voler crescere in fretta,
bisogna assaporare ogni momento della nostra vita e
soprattutto di quell’età spensierata che è l’infanzia.
L’infanzia può essere considerata come “elogio del dionisiaco”,
della fantasia e della creatività;
età complessa ma ricca di aspettative e significati nascosti
.
Nelle società in cui viviamo si tende a sopprimere il bambino che c’è in noi,
il nostro “io”interiore , ovvero la nostra coscienza.
Attraverso l’arte surrealista si cerca di liberare il proprio “io”,
ci si lascia guidare dall’inconscio
che rivela la nostra realtà nascosta e a volte ignara a noi stessi.
Pascoli, Hugo e Baudelaire hanno visto nell’arte poetica una sorta di elevazione;
l’andare oltre l’immaginabile e liberarsi dagli schemi razionali (logica adulta)
per rivelare il mistero della vita, presente anche nelle cose più umili.
A mio avviso Peter Pan ci vuole educare a guardare la vita con occhi nuovi;
con appunto l’innocenza di un bambino e
non cadere sui soliti pregiudizi che la società ci ha trasmesso.

Bisogna però porre l’attenzione
sui problemi che può portare il “rimanere per sempre bambini”:
si rischia di rimanere inglobati su un'altra realtà , la nostra Neverland.

Peter Pan in chiave psicopedagogica


Abbiamo visto come Peter Pan sia un bambino sfuggente e soprattutto pieno di contraddizioni tanto che spesso viene interpretato in modi quasi totalmente opposti.
C’è chi come De Kiley ha visto in lui qualcosa di patologico ( sindrome di Peter Pan ), chi nell’atteggiamento peterpanesco di quanti si sentono in dovere di pensare e comportarsi da giovani vede un antidoto alla paura della vecchiaia quale età in cui diventiamo materiale di scarto e nella puerizia trattenuta il sintomo della paura di un mondo, quello adulto, senza dei senza punti di riferimento, decadente: un mondo che alcuni preferiscono osservare da lontano.
Quando la spontaneità, l’aspetto ludico dell’esistenza, l’amore per la fantasia, la stessa curiosità sono minacciate dalle regole dell’educazione, c’è chi, per non inaridire, si rivolge al genio della fanciullezza. Quando le regole educative "rinforzano la competitività a prezzo del gioco, il giudizio e il pregiudizio a scapito della spontaneità e le limitazioni del dovere a danno del diritto alla fantasia" c’è che preferisce rifugiarsi in una sua personale isola che non c’è.
Allora forse bisogna guardare a Peter Pan non tanto come ad un modello di strenuo difensore di valori e atteggiamenti che solo nell’infanzia sembrano poter essere accettati e pienamente vissuti; valori come la spontaneità, la libertà e la fantasia.
Ne “La strategia di Peter Pan” dello psicanalista Carotenuto, il nucleo principale è rappresentato dall'universo infantile e in particolare dalla necessità di ricuperare il contatto con le componenti eternamente giovanili della psiche. Contro il tentativo della cultura razionalistica di ridurre la forza e la spontaneità della psiche "infantile" a mere suggestioni fantastiche e a strategie di fuga dalla realtà, l'autore identifica nella qualità dell’"eterno fanciullo" i semi della creatività individuale.
Utilizzando il personaggio di Peter Pan l'autore critica l'emblema di colui che si rifiuta di crescere in quanto,per Carotenuto, esso incarna "il difensore di valori e atteggiamenti che solo nell'infanzia sembrano poter essere accettati e pienamente vissuti", il portavoce di un malessere dell'anima. Il mantenimento dei tratti infantili e il riconoscimento della straordinaria capacità del bambino di identificarsi con la realtà vivente partecipando affettivamente ad essa, rappresentano per l'autore un compito che l'adulto deve assumersi per salvare la sua creatività.

Peter Pan ...e la letteratura italiana


Analizzando il libro “Le avventure di Peter Pan”, di J. M. Barrie, mi sono accorta che vi è una componente panica corrispondente a Neverland (l’isola che non c’è) poiché questa vive in simbiosi con lo stato d’animo del protagonista.
In “Alcyone”, D’Annunzio, pone come tema centrale le metamorfosi che testimoniano la completa unione fra l’uomo e la natura; inoltre ogni dato sensoriale si alleggerisce e il paesaggio diventa stato d’animo.

Con Pascoli invece ho riscontrato delle corrispondenze con la poetica del fanciullino e alcune liriche (“Myricae” e “I Canti di Castelvecchio”).
Nel fanciullino è espressa una concezione della poesia come attività non razionale, come perenne capacità di stupore infantile, come riscoperta del bambino che è rimasto dentro di noi, nonostante il passare degli anni.
Nelle liriche si può vedere l’ideologia del nido, la paura dell’amore e di tutti quei sentimenti che possono allontanare l’affetto dei famigliari; in entrambe le raccolte vi è il susseguirsi di paesaggi campestri, delle stagioni e l’attenzione per le piccole cose.

Peter Pan... il bambino che c'è in noi!!!!



Qualche anno fà mi è capitato di vedere il film "Peter Pan" di P.J. Hogan ,
da allora ho iniziato a pormi determinate domande
sia perché mi è sempre piaciuto questo bizzarro personaggio,
sia perché lo sento mio e parte integrante della mia personalità.
Ho voluto scoprire il perché catturasse così tanto la mia attenzione
ed è stato veramente interessante scoprirne la storia
e la personalità tramite varie discipline come arte,letteratura ,psicopedagogia, ecc...
Peter Pan è l’icona dell’eterna giovinezza e gioventù
ma c’è un particolare che da piccola non sono riuscita a percepire
cioè quali conseguenze/vantaggi comporta il rimanere per sempre bambini.
Pan è un ragazzino immaturo,
che non vuole crescere per non addossarsi le responsabilità dei grandi;
un rifiuto della razionalità adulta per privilegiare l’irrazionalità dei piccoli.
L’unica cosa che Peter Pan guadagna, alla fine, è la più completa e totale solitudine.
Quello che mi stupisce maggiormente è che il giovane Pan
non voleva crescere perché aveva timore dei propri sentimenti;
di provare qualcosa d’immensamente profondo come l’amore .
Amare significa sapersi mettere in gioco,
donare tutto se stesso all’altra persona e ,a volte,
sapersi anche annullare per dare qualcosa in più.
Quando si è piccoli si sente maggiormente il timore di non riuscire in qualche “avventura”
e finiamo per rifugiarci, come Pater Pan,
nella nostra Neverland dalla quale sarà difficile evadere.

Ho scelto questo tema perché ritengo che, nella società in cui viviamo,
si tenda a sopprimere il nostro “IO” interiore,
lasciando morire il bambino che c’è in ognuno di noi.

lunedì 26 gennaio 2009

I campiscuola...non solo divertimento...


Ogni campo ha un suo tema che si sviluppa nell'arco di una settimana con attività mirate ad doc per far capire ai ragazzi il significato più profondo di ogni gesto.

Mi ricordo molto bene il tema che abbiamo trattato qualche anno fà ed era "su e giù nel tempo" siamo tornati con la memoria nel passato dove abbiamo riscoperto le nostre attitudini che prima sottovalutavamo;abbiamo immaginato il futuro ricco di strade e percorsi decisivi perciò diventerà importante fare le scelte giuste per il nostro bene e per il bene altrui;infine abbiamo analizzato il presente dove abbiamo incontrato nuovi amici con i quali desideriamo intraprendere un gioioso cammino cristiano .

Questo è solo un esempio di attività che si può svolgere con i ragazzi...molto importanti sono i deserti cioè i momenti in cui i ragazzi si isolano e riflettono sulle attività svoltre in quella giornata con provocazioni scritte da noi animatori ...